Mal di schiena, conoscerlo per curarlo nel modo efficace.

Il mal di schiena è uno dei problemi più comuni nella popolazione dei paesi sviluppati. Esso rappresenta un costo non indifferente in termini di assistenza sanitaria e assenza dal lavoro e può determinare importanti livelli di disabilità nell’età adulta e avanzata. Molto spesso questo problema viene affrontato con cure sintomatiche che non hanno alcun effetto preventivo sull’insorgenza di tale disturbo. Come in ogni patologia che coinvolge l’apparato muscolo scheletrico, la definizione delle cause e la progettazione di un piano di cura personalizzato rappresentano la base per un recupero e prevenzione efficace.

Com’è fatta la nostra schiena?

La schiena sottende al rachide o colonna vertebrale che è una struttura anatomica costituita da 33 vertebre suddivise in:

  • 7 cervicali;
  • 12 toraciche;
  • 5 lombari; 
  • 5 sacrali;
  • 3 coccigee. 

A livello dorsale sono presenti 12 paia di coste per lato che si articolano con le vertebre dorsali posteriormente e con lo sterno anteriormente.

La colonna non è dritta ma presenta delle curve alternate che a seconda di come sono orientate sul piano sagittale prendono il nome di cifosi se è presente una concavità anteriore o lordosi in caso di una concavità posteriore. In particolare fisiologicamente abbiamo: 

  • una lordosi cervicale;
  • una cifosi toracica;
  • una lordosi lombare;
  • una cifosi sacrale e coccigea.

Una colonna che presenta tutte queste curve nelle giuste proporzioni è maggiormente in grado di assorbire i carichi a cui è sottoposta.

Esistono tuttavia diverse conformazioni della colonna che possono mostrare una rettilineizzazione di queste curve, un’inversione o un prolungamento delle stesse in tratti vicini. Queste alterazioni di forma sono più o meno comuni e possono predisporre a determinati disturbi. Esse andrebbero tenute in considerazione durante la valutazione della storia di un mal di schiena. Ad esempio una rettilinizzazione a livello della colonna espone maggiormente ad ernie discali degli ultimi segmenti lombari.

Ogni vertebra è separata dall’altra da dischi intervertebrali che hanno la funzione di ammortizzare il carico del corpo. Ogni disco è costituito da:

  • un nucleo polposo a base di acqua;
  • un anello fibroso che contiene il nucleo.

Le vertebre, le coste e i dischi sono mantenuti in sede da legamenti, strutture fibrose, che permettono una certa mobilità aalle varie articolazioni impedendo movimenti eccessivi delle stesse.

Il movimento della colonna è concesso da diversi muscoli che organizzati in più strati originano e si inseriscono sulle strutturee osse della colonna.

Quali sono le cause più comuni del mal di schiena?

In medicina esistono diverse condizioni patologiche che possono essere responsabili del mal di schiena ma nella maggioranza dei casi sussiste un problema di natura funzionale; la funzione della parte corporea è alterata, senza che vi sia un danno delle strutture e quindi lo stress meccanico che può assorbire la colonna e le sue strutture risulta ridotto. Ad esempio la debolezza dei muscoli che muovono e stabilizzano la schiena, conseguente ad una vita sedentaria, può predisporre a episodi di dolore. Di seguito alcune cause più comuni di dolore alla schiena:

  • Sedentarietà;
  • Debolezza muscolare;
  • Rigidità articolare;
  • Lavori ripetuti;
  • Sovraccarichi eccessivi sulla colonna
  • ecc..

Esistono inoltre fattori predisponenti al mal di schiena che andrebbero considerati nel momento della valutazione di tale disturbo che, anche se comuni, possono condizionare o modificare le scelte terapeutiche. Tali fattori possono essere:

  • determinate conformazioni della colonna (scoliosi, ipercifosi,ecc…);
  • esiti di ernie discali;
  • artrosi;
  • osteopenia, osteoporosi; 
  • traumi;
  • ecc…

Come procedere alla valutazione del mal di schiena?

Il mal di schiena andrebbe valutato da personale medico specializzato quale il fisiatra, l’ortopedico, il neurochirurgo e sanitario quale il fisioterapista.

Il personale medico è deputato all’esclusione di condizioni gravi a livello della colonna che come detto precedentemente rappresentano un’evenienza meno frequente ma che se presente necessita di un’intervento medico appropriato (farmacologico o interventista). Tra questi possiamo citare:

  • Tumori;
  • Infezioni;
  • Malattie sistemiche.

Tramite l’esecuzione di test clinici e la prescrizione di esami diagnostici il medico elabora una diagnosi e propone una terapia idonea. L’esclusione di condizioni di gravità rappresenta senz’altro una buona notizia per il paziente che può iniziare un percorso conservativo e attivo per recuperare la sua condizione.

Il fisioterapista esperto può anch’esso valutare la sintomatologia del paziente tramite dei test clinici e qualora ci fossero segnali di gravità, inviare direttamente la persona al medico competente per svolgere ulteriori accertamenti. Nel caso contrario è possibile iniziare fin da subito un percorso terapeutico con il paziente. Il recupero di aspetti funzionali della schiena è infatti competenza di questa figura sanitaria.

Dove si localizza il mal di schiena?

Il mal di schiena può essere localizzato a tutti i livelli del rachide. La zona più frequente come sede di dolore è la zona lombare in quanto fisiologicamente essa subisce il maggior carico del busto e a livello meccanico si concentrano maggiormente gli sforzi sul rachide (es: quando si solleva un peso).

La diagnosi medica definisce la sede del problema indicando la zona interessata:

  • cervicalgia per il tratto cervicale (collo);
  • dorsalgia per il tratto dorsale;
  • lombalgia per il tratto lombare.

Inoltre è possibile che il dolore dalla schiena si possa irradiare in altre zone come ad esempio la gamba o il braccio. Nel primo caso si parlerà di lombosciatalgia, nel secondo caso di cervicobrachialgia. Questo perché come si è detto precedentemente esistono delle strutture nervose nella schiena che vanno a innervare gli arti e un problema a livello di queste strutture può essere responsabile di un problema neurologico a distanza. I sintomi lamentati dai pazienti quindi possono essere diversi, locali o distanti:

  • dolore locale (puntorio, tipo crampo, sordo, acuto ecc..) o a livello degli arti in caso di lombosciatalgia e cervicobrachialgia;
  • impotenza funzionale;
  • incapacità di mantenere una posizione a lungo per il dolore;
  • alterazione di sensibilità a livello degli arti inferiori (formicolio, bruciore,…);
  • impotenza funzionale nel movimento degli arti.

Perché è importante la valutazione clinica del mal di schiena?

La valutazione clinica del paziente è il primo passo nella definizione e cura del mal di schiena. Questo per i seguenti motivi:

  • È possibile raccogliere la storia anamnestica del paziente che può dare al clinico delle informazioni importanti sulla genesi del mal di schiena (es: lavori pesanti ripetuti, storia di traumi, storia familiare, ecc…)
  • I test clinici sul paziente possono confermare o meno un’ipotesi diagnostica.
  • Si può differenziare un problema grave da un problema funzionale.
  • È possibile determinare quale esame diagnostico è più utile per rendere più accurata la diagnosi e quindi la terapia da seguire.

Esiste un esame diagnostico più accurato per valutare il mal di schiena?

Tra gli esami diagnostici a disposizione per il paziente esistono principalmente:

  • l’Esame Radiografico (RX), 
  • la Risonanza Magnetica (RM) 
  • la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC). 

La scelta di un’esame diagnostico rispetto ad un altro andrebbe fatta solo a seguito di una valutazione clinica del paziente. Questo perché ogni esame va ad indagare degli aspetti specifici della struttura anatomica della schiena con risoluzioni e scopi diversi. In particolare:

  • Esame Radiografico (RX): utile per vedere la struttura ossea ad esempio nel caso si sospetti una frattura o per valutare la postura e le sue alterazioni (radiograia in ortostatismo);
  • Esame di Risonanza Magnetica (RM): utile per avere un quadro generale di tutti i tessuti del segmento esaminato. Da richiedere come approfondimento dell’RX e per valutare la presenza di patologie discali, ossee, tumorali e di altra natura.
  • Tomografia assiale Computerizzata TAC: utile come approfondimento dell’RX o della RM per aumentare il livello di dettaglio di un determinato segmento preso in esame.

Quindi volendo rispondere alla domanda iniziale la risposta è no: non esiste un esame diagnostico più accurato per valutare il mal di schiena ma dipende da cosa si vuole andare a indagare sul paziente. Inoltre tutti gli esami esposti determinano l’esposizione a radiazioni e quindi risulta utile limitarli solo se veramente necessari. Analizzando la storia, la presentazione clinica del paziente ed eseguendo dei test clinici validati è possibile evitare approfondimenti diagnostici che non cambierebbero la scelta terapeutica da effettuare. Per tali situazioni l’esperienza del clinico e i test sul paziente risultano elementi fondamentali.

I farmaci sono utili per curare il mio mal di schiena?

La farmacologia è una cura di comprovata efficacia nel ridurre il dolore percepito e la sintomatologia nei pazienti con mal di schiena. Tuttavia l’uso di farmaci andrebbe limitato nel tempo per limitare gli effetti collaterali della terapia farmacologica. Inoltre il dolore è semplicemente un segnale che ci informa che qualcosa non funziona correttamente a livello di un determinato segmento corporeo. Curare unicamente il dolore senza affrontare le cause specifiche del problema non rappresenta una vera soluzione al mal di schiena. Risulta dunque importante partire da una valutazione clinica e se necessario strumentale che identifichi le reali cause del disturbo e intraprendere un percorso di cura adeguato. I farmaci possono essere utili nel gestire il dolore nella fase acuta o rendere più gestibile un percorso di cura di un mal di schiena che dura da diverso tempo.

Quali sono i fattori che influiscono sul dolore alla schiena?

Il dolore alla schiena può essere influenzato da diversi fattori che possono essere raggruppati nelle 3 aree del modello bio psico sociale. Di seguito:

  • Dimensione biologica

L’entità di una lesione o la gravità di un dismorfismo possono aumentare il dolore percepito. Tuttavia non è solo questa dimensione da tenere presente. Esistono pazienti con dismorfismi o lesioni importanti alla schiena che non avvertono molto dolore.

  • Dimensione psicologica

Un indole caratteriale depressa o un atteggiamento di catastrofizzazione del dolore da parte del paziente possono aumentare il dolore percepito. Essere rassicurati da personale esperto e formato è di fondamentale importanza in qualsiasi percorso di cura.

  • Dimensione sociale

L’ambiente familiare, lavorativo e sociale dove vive il paziente dovrebbero essere considerati nella gestione del suo mal di schiena. Il supporto emotivo da parte delle persone vicine al paziente ha un’influenza sul dolore percepito.

Queste dimensioni dovrebbero essere considerate nella valutazione clinica del mal di schiena sul paziente, senza limitarsi alla sola visione dell’esame diagnostico (RX, RM, TAC, ecc..). Come ampiamente dimostrato, non esiste una correlazione proporzionale e significativa tra il dolore provato da una persona e la gravità di un riscontro radiografico. Ad esempio esistono persone con gravi deformità alla colonna che non manifestano forte dolore alla schiena. La dimensione biologica non è dunque la sola a contare nella valutazione del mal di schiena.

Situazioni comuni da considerare nella valutazione del mal di schiena.

Come detto precedentemente esistono delle situazioni che maggiormente possono esporre ad una sintomatologia di dolore alla schiena. Tale condizioni possono essere di per sé causa di mal di schiena ma essere anche fattori predisponenti per il riacutizzarsi di un episodio di dolore. Di seguito i principali:

  1. Dismorfismi della colonna

I dismorfismi della colonna sono delle alterazioni stabilizzate della forma della colonna. Le principali sono:

  • scoliosi;
  • ipercifosi;
  • iperlordosi;
  • inversioni di curva.

Quali sono le conseguenze di un dismorfismo della colonna?

Ragazza con ipercifosi del tratto dorsale.

Ogni dismorfismo è misurabile clinicamente e radiograficamente con delle variabili angolari (gradi). L’insorgenza e l’alto grado del dismorfismo sono i 2 fattori che stabiliscono la gravità o meno dello stesso. Infatti se l’alterazione compare su un fisico in crescita non ancora formato a livello osseo, esso potrebbe evolvere più rapidamente.

Se invece il dismorfismo è lieve non necessariamente rappresenta un problema serio nell’età adulta. Tuttavia è sempre utile tenerlo presente in fase di valutazione per un episodio di mal di schiena. Infatti di base le alterazioni della forma della colonna determinano:

  • un’asimmetria di elasticità e quindi di movimento;
  • un lavoro muscolare asimmetrico;

e nel lungo periodo possono essere fonte di dolore.

Come sempre ogni caso andrebbe valutato da personale medico e fisioterapico specializzato.

Quali sono i segni/sintomi in caso di dismorfismo?

I sintomi possono essere i seguenti:

  • Dolore alla colonna;
  • Incapacità di eseguire determinate attività o mantenere determinate posizioni per lungo tempo;
  • Stanchezza muscolare
  • Peggioramento della postura.

Quali sono le terapie in caso di un dismorfismo doloroso alla colonna?

Le terapie in caso di un dismorfismo doloroso alla colonna sono rappresentate da:

  • Terapia manuale dei tessuti sofferenti;
  • Ginnastica fisioterapica mirata;
  • Bustini per i casi gravi;
  • Chirurgia per i casi più gravi.

La ginnastica mirata è sempre consigliabile per i dismorfismi della colonna in quanto essa permette di mantenere un sostegno attivo e specifico della stessa. L’esercizio fisico cura il dolore e migliora la postura ma non è in alcun modo in grado di modificare la forma della colonna. All’attività fisica è possibile abbinare sedute di terapia manuale che possono facilitare l’esercizio attivo e migliorare uno stato doloroso. Se il dismorfismo è grave come nel caso di bambini o anziani è consigliabile ricorrere ad un bustino di sostegno per prevenire il peggioramento del dismorfismo stesso. Il bustino andrebbe confezionato in modo personalizzato dopo uno studio radiografico della colonna del paziente.

Qualora non si riuscisse a migliorare la sintomatologia dolorosa potrebbe essere richiesta la chirurgia per stabilizzare la colonna con mezzi di sintesi appropriati.

  1. Ernia discale

Che cos’è l’ernia discale?

Il disco vertebrale è costituito da 2 parti:

  • un anello fibroso;
  • un nucleo polposo a base di una sostanza gelatinosa a base di acqua.

Il disco intervertebrale grazie alla sua struttura svolge efficientemente il suo ruolo di cuscinetto per ammortizzare il carico della schiena e permettere il movimento tra le vertebre.

Per ernia discale s’intende la fuoriuscita del nucleo polposo del disco attraverso l’anello fibroso. Questa evenienza, indice di una degenerazione del disco, può determinare un forte mal di schiena oppure passare in forma asintomatica. Infatti se il nucleo polposo erniato va a comprimere delle strutture nervose nelle vicinanze può essere causa di importante dolore locale a livello della schiena ma anche determinare una lombosciatalgia per gli arti inferiori se l’ernia avviene a livello dei segmenti lombari o una cervicobrachialgia per gli arti superiori se l’ernia avviene a livello dei segmenti cervicali.

Cosa comporta un nervo infiammato in caso di un’ernia?

In caso di una lombosciatalgia o cervicobrachialgia avremmo i seguenti segni/sintomi:

  • Dolore crampiforme e tensivo lungo il decorso del nervo;
  • Alterazioni di sensibilità nelle zone di competenza del nervo sofferente (formicolii);
  • Alterazione dell’escursione del tessuto nervoso sofferente;
  • Alterazione di forza dei muscoli innervati dal nervo sofferente;
  • Riduzione o assenza dei riflessi osteotendinei.

Tali sintomi/segni possono essere valutati tramite dei test clinici che verificano con buona approssimazione quale struttura risulta essere maggiormente coinvolta.

I test sono:

  • Test di forza;
  • Test della sensibilità;
  • Test dei riflessi osteotendinei;
  • Test neurodinamici (SLR, Slump test, ULNT, ecc..)

La positività di uno o più test e la loro interpretazione, orienta il clinico sulla necessità di ulteriori accertamenti o sulla terapia da prescrivere al paziente. Si ribadisce l’importanza di una valutazione clinica da personale specializzato prima ancora di eseguire qualsiasi terapia in autonomia.

Cosa fare nel caso di un’ernia discale?

Un’ernia discale diventa problematica quando va a coinvolgere delle strutture nervose (radici, nervi). Il tessuto nervoso è un tessuto molto sensibile che soffre alle minime alterazioni del suo ambiente. La compressione di una radice nervosa determina un ridotto nutrimento del tessuto nervoso e un’alterazione dello scorrimento del nervo corrispondente nel suo decorso. In questi casi risulta molto importante osservare un periodo di riposo per evitare ulteriori stress meccanici alla colonna e irritazione delle strutture nervose. Nelle fasi acute l’utilizzo di farmaci antinfiammatori appropriati risulta utile per il controllo del dolore. Nelle fasi successive o in supporto alla terapia farmacologica è possibile iniziare un percorso di recupero insieme ad un fisioterapista specializzato.

Un’ernia discale ha solitamente un evoluzione benigna se si osservano i giusti tempi di recupero e la chirurgia le più delle volte non risulta necessaria. 

Un luogo comune è pensare che il tessuto discale erniato possa rientrare in sede dentro il disco. Tale evenienza è impossibile dato che la colonna è un sistema in compressione. Quello che succede invece è un lento riassorbimento del materiale erniato tramite l’attività del sistema immunitario che letteralmente va a “mangiarselo” (attività fagocitaria del sistema immunitario).

In cosa consiste la fisioterapia nel caso di un’ernia discale?

La fisioterapia in caso di ernia discale comprende diverse manovre terapeutiche tra le quali:

  • Terapia manuale dei tessuti sofferenti allo scopo di ridurre lo spasmo muscolare e prevenire adattamenti patologici nelle attività della vita di tutti i giorni;
  • Esercizi di neurodinamica per migliorare la componente di allungamento e scorrimento del nervo sofferente all’interno della sua guaina.
  • Esercizi di rinforzo selettivi della muscolatura sofferente per stimolare la conduzione nervosa e il mantenimento della tono troficità muscolare.

Durante le sedute il paziente viene inoltre costantemente rassicurato dal terapista e i risultati terapeutici monitorati attentamente.

Il percorso fisioterapico in caso di ernia discale non è breve e un recupero completo può richiedere dei mesi.

Quando è necessario un intervento chirurgico per un’ernia discale?

L’intervento chirurgico in caso di ernia discale è riservato a quei pazienti che non trovano giovamento da un trattamento conservativo (farmacologico e fisioterapico) o dove la compressione radicolare, nervosa risulta tale da non permettere di iniziare un percorso conservativo.

Ogni situazione va valutata da caso a caso e tramite il consulto di un neurochirurgo o medico ortopedico specializzato. Scopo dell’intervento è rimuovere il frammento erniato e che disturba la conducibilità nervosa. Generalmente il dolore migliora immediatamente dopo l’intervento mentre i sintomi periferici (perdita di forza e alterazioni di sensibilità) richiedono maggior tempo per passare.

L’intervento chirurgico non è privo da rischi legati alla procedura chirurgica (anestesia, manovre operatorie) e dalla possibilità di recidiva, infatti se il disco risulta ben idratato è possibile che in seguito, nuovo materiale discale possa erniare nuovamente nel canale spinale.

Risulta importante dopo un qualsiasi intervento eseguire della riabilitazione mirata che abbia come scopo recuperare le conseguenze dell’intervento e dove possibile attuare delle strategie preventive andando a lavorare sui fattori che hanno portato alla comparsa dell’ernia (debolezza muscolare, instabilità della colonna, ecc…)

  1. Artrosi

L’artrosi è una condizione degenerativa delle strutture articolari che determina:

  • dolore;
  • riduzione dell’elasticità articolare;
  • deformità articolare;
  • debolezza muscolare associata.

Tra le vertebre sono presenti:

  • articolazioni tra piatti vertebrali opposti (articolazione discovertebrale);
  • articolazioni tra le 2 faccette articolari posteriori tra le vertebre (articolazioni faccettarie).

Queste articolazioni possono andare incontro ad artrosi e le loro strutture diventare sintomatiche.

Come si diagnostica l’artrosi alla schiena?

La diagnosi di artrosi alla colonna è essenzialmente clinica. Si possono eseguire un esame radiografico o di risonanza magnetica per conferma o esami di laboratorio per escludere uno stato infiammatorio sistemico.

Per gli esami ematochimici i valori alterati possono essere : 

  • Fattore reumatoide;
  • Anticorpi anti peptide ciclico citrullinato (anti-CPP);
  • Emocromo completo;
  • Velocità di eritrosedimentazione (VES);
  • Proteina C reattiva;
  • Valori della funzionalità renale ed epatica.

Quali sono i segmenti della colonna che vanno più incontro ad artrosi?

L’artrosi può colpire a tutti i livelli della colonna ma alcuni segmenti lombari sono solitamente i più colpiti.  In particolare gli ultimi segmenti lombari per il maggior carico del corpo e i segmenti cervicali per il maggior movimento sono i distretti più soggetti ad artrosi.

Ci sono delle attività che espongono maggiormente ad artrosi alla colonna?

Alcune attività più di altre possono esporre ad un grado maggiore di artrosi alla colonna, tra le quali:

  • Attività di sollevamento pesi (squat, crossfitt,..)
  • Lavori in torsione con pesi (lavoro a catena in produzione).

L’artrosi alla colonna è sempre sintomatica?

No, molte persone presentano dell’artrosi alla colonna senza che questa produca sintomi rilevanti. Tuttavia in presenza di dolore, tale condizione dovrà essere tenuta in considerazione dal clinico nella definizione della diagnosi e nelle terapie proposte.

La valutazione clinica nell’artrosi della colonna, come in ogni condizione dolorosa del sistema muscolo scheletrico, deve essere affidata a professionisti sanitari (medici e fisioterapisti) per offrire al paziente il miglior approccio di cura.

Quali sono le terapie più efficaci per l’artrosi alla colonna?

Le migliori cure per il mal di schiena alla colonna a seguito di artrosi sono:

  • approccio farmacologico per la gestione del dolore;
  • esercizio fisico mirato alle strutture problematiche della colonna (esercizi di allungamento, rinforzo specifici);
  • educazione del paziente (ergonomia del lavoro, scelta dell’attività sportiva adatta, comprensione della patologia, ecc..).

Tramite l’esercizio fisico monitorato da fisioterapisti specializzati o allenatori formati è possibile agire non solo in ottica curativa del mal di schiena ma anche preventiva.

  1. Osteopenia, Osteoporosi

L’Osteopenia e l’Osteoporosi sono due condizioni patologiche che colpiscono l’osso e avvengono con l’invecchiamento dell’individuo. Esiste una prevalenza nel sesso femminile dopo la menopausa per lo squilibrio ormonale che questa condizione comporta. Queste condizioni possono essere dei fattori predisponenti all’insorgenza di mal di schiena.

Come sono fatte le nostre ossa?

Le ossa del nostro corpo sono un tessuto vivo costituito da cellule immerse in una matrice costituita per lo più da sali di calcio. Esistono diverse cellule nell’osso con funzioni specifiche:

  • Osteociti: ex osteoblasti che rimangono intrappolati all’interno della sua matrice ossea prodotta; rimangono in uno stato di quiescenza e si trovano disposti lungo le linee di forza di carico dell’osso;
  • Osteoblasti: cellule metabolicamente attive che sono impegnate nella produzione di nuovo materiale osseo;
  • Osteoclasti: cellule metabolicamente attive che sono impegnate del riassorbimento del nuovo materiale osseo prodotto dagli osteoblasti.

Cosa succede nell’osteopenia e dell’osteoporosi?

Il tessuto osseo viene continuamente rimodellato e rinnovato dall’azione degli osteoblasti e osteoclasti. Tale attività è sbilanciata verso gli osteoblasti fino ai 30 anni di vita per andare lentamente a spostarsi verso il riassorbimento ad opera degli osteoclasti fino al termine della vita. Questo ultimo processo nelle donne subisce un’accelerazione dopo la menopausa con una perdita di massa ossea crescente (osteopenia). Se tale riduzione prosegue si arriva ad una modificazione della struttura macroscopica dell’osso (osteoporosi) che perde la sua classica forma trabecolare.

L’osteopenia e ancora di più l’osteoporosi rendono le ossa più fragili e quindi più esposte a fratture in seguito a cadute. Nei pazienti osteoporotici possono verificarsi anche delle fratture spontanee (crolli vertebrali o fratture spontanee del collo del femore).

Che cosa fare in caso di osteopenia e osteoporosi?

Referto esame densitometrico.

Il medico preposto alla valutazione e diagnosi dell’osteopenia/osteoporosi è il reumatologo ma è possibile rivolgersi anche ad un ortopedico o fisiatra. Esso andrà a prescrivere i seguenti esami:

  • Esami ematologici (assetto ormonale);
  • Densitometria ossea;

Tramite questi esami è possibile valutare le cause della riduzione della mineralizzazione ossea e quantificare la quantità di massa ossea dell’individuo. La densitometria permette di avere dei valori riferimento per la propria situazione in corrispettivo alla popolazione generale. La cura farmacologica per l’osteopenia/osteoporosi prevede:

  • Vitamina D;
  • Assunzione di calcio tramite integratori o dieta;
  • Farmaci appropriati in caso di disfunzioni ormonali.

Tuttavia l’approccio farmacologico non è sufficiente in quanto è necessario che le ossa, in quanto tessuto vivo, ricevano delle stimolazioni fisiche per potersi “rinforzare”. Risulta necessario dunque abbinare alla terapia farmacologica una buona dose di attività fisica seguita da personale specializzato ( fisioterapisti, allenatori formati ) che possa dosare i carichi e scegliere gli esercizi più adatti al caso. Se la cosa lascia dei dubbi basti pensare che gli astronauti nello spazio, una volta tornati a terra, rischiano di avere problemi di osteopenia. Questa è la prova che il carico è fondamentale per la salute delle ossa.

Perché l’osteopenia/osteoporosi determina mal di schiena?

L’osteopenia e l’osteoporosi non determinano direttamente mal di schiena. Infatti la perdita di contenuto minerale e struttura ossea è indolore per la persona. Tuttavia la perdita di contenuto minerale può esporre a dei crolli vertebrali progressivi o improvvisi e quindi a dei dismorfismi che possono determinare delle asimmetrie posturali e rigidità dolorose. Tale situazione è più frequente nelle persone anziane ma la prevenzione deve iniziare il prima possibile nell’età adulta.

Come faccio a prevenire l’osteopenia/osteoporosi? 

In una certa misura la perdita di contenuto minerale osseo risulta fisiologico con l’invecchiamento. Tuttavia se si vuole evitare i problemi associati all’osteopenia o alla più grave osteoporosi occorre lavorare in ottica preventiva. L’adozione di uno stile di vita attivo che comporti una buona dose di attività fisica settimanale è di grande utilità a tale scopo. L’attività fisica dovrebbe incentrarsi non solo su attività di allungamento (es: yoga, ginnastica posturale ) e aerobiche (es: camminare) ma dovrebbe comprendere anche l’utilizzo di sovraccarichi (utilizzo di pesi, ginnastica riabilitativa mirata) che possano stimolare la mineralizzazione ossea nonché attività di propriocezione (equilibrio) per prevenire sbilanciamenti posturali (cadute). Questi ultimi vanno graduati sapientemente per non rischiare effetti avversi (fratture) e quindi è importante soprattutto in una prima fase farsi seguire da un fisioterapista specializzato.

La ginnastica posturale ha lo scopo di migliorare la postura e quindi migliorare il carico su determinati distretti corporei e prevenire fratture spontanee. Pensiamo ad esempio ad un paziente ipercifotico con un atteggiamento in flessione del rachide dorsale. In tale condizione le pressioni anteriori sui piatti vertebrali risultano aumentate e una frattura è molto probabile in caso di fragilità ossea o cadute.

La relazione terapeutica con il fisioterapista ha lo scopo di prevenire atteggiamenti di eccessiva protezione da parte del paziente a seguito di una diagnosi di osteopenia/osteoporosi. Rassicurato e informato costantemente nel suo percorso di cura, il paziente dovrebbe diventare protagonista attivo nella cura della sua condizione e questo è valido a tutte le età. La paura di muoversi e quindi l’immobilità non stimola le ossa e non potenzia neanche i muscoli che sostengono il corpo e permettono movimento. Un paziente forte e agile è meno esposto a cadute che possono peggiorare un dismorfismo in caso di osteoporosi. 

Conclusioni

Il mal di schiena può avere molteplici cause ma quello che risulta importante è una valutazione iniziale che possa definire le cause dell’insorgenza dello stesso. La cura è un percorso che può richiedere tempo e nel quale il personale sanitario (medici e fisioterapisti ) devono fare la loro parte per definire il problema del paziente e la cura migliore per il singolo caso tramite un lavoro di squadra. 

L’approccio conservativo, una volta escluse situazioni di gravità, ha un grande ruolo in questo percorso. Il paziente, a qualsiasi età, deve diventare protagonista attivo della sua salute e lavorare al massimo per la cura e prevenzione del suo mal di schiena.

Dott. Jacopo Galusi – Fisioterapista specializzato in terapia manuale, Osteopata D.O.

Dott. Maxim Filippi Makarov – Fisioterapista specializzato in terapia manuale, Osteopatia D.O.

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